giovedì 17 novembre 2016

QUANDO DISEGNARE "ALLA GIAPPONESE" ERA PROIBITO (NELLE SCUOLE DI FUMETTO)

Vedere oggi tanti disegnatori, cresciuti con cartoni animati e fumetti giapponesi, così influenzati da quello stile e raggiungere il successo grazie a fumetti o illustrazioni che sono il risultato di tale formazione non solo mi fa piacere per una questione di gusto, ma anche per ragioni molto personali: Teresa Marzia (mia moglie, lo dico subito) ha infatti compiuto quel percorso alla fine degli anni Ottanta, quando era molto più accidentato di oggi.

Se attualmente non c'è una sola scuola di fumetto che non proponga corsi di manga, fino ancora alla fine dello scorso millennio non era esattamente così. Quando frequentava la Scuola del Fumetto di Milano, Teresa si sentiva ripetere praticamente ogni santo giorno che doveva smetterla di disegnare “alla giapponese” (e immaginate quel "alla giapponese" pronunciato con un marcato disprezzo) per disegnare in stile realistico o comunque occidentale. Non che studiare disegno realistico le abbia nuociuto, tutt'altro, ma era proprio l'atteggiamento ostile nei confronti di qualunque dettaglio ricordasse anche solo lontanamente un cartone animato giapponese a essere pesante da reggere. Ogni santo giorno per tre anni.

Tavola dalla prima storia di Teresa, apparsa su Fumo di China n. 8 (1991).

All'epoca le scuole di fumetto, in Italia, si contavano sulle dita di una mano, Dylan Dog era appena "esploso" e stava diventando quel fenomeno di costume destinato a influenzare l'intero panorama fumettistico italiano, mentre le riviste che ospitavano i grandi autori godevano ancora di una discreta salute. Le edicole rappresentavano ancora i soli punti vendita per la maggior parte dei fumetti (esistevano già le prime fumetterie, ma in numero esiguo, inoltre erano quasi inesistenti le pubblicazioni dedicate esclusivamente a quel circuito), ma soprattutto l'invasione dei manga nel nostro paese doveva ancora iniziare e quasi nessuno (me compreso) aveva sentore dell'effetto dirompente che avrebbero avuto.

Questo per dire che, in quelle poche scuole cui accennavo prima, lo stile giapponese era fortemente osteggiato non solo per questioni di gusto degli insegnanti, ma anche perché ritenuto del tutto ininfluente sia sotto il profilo artistico che quello commerciale: se volevi avere la possibilità di essere preso in considerazione da un editore, anche il più scalcinato, dovevi disegnare o con lo stile realistico tradizionale oppure, partendo comunque dal disegno classico, sviluppare un tuo stile decisamente più "artistico" (poi decidete pure voi che cosa intendere con questa definizione!).
Ma ispirarsi o essere anche minimamente influenzati dai cartoni animati giapponesi era decisamente sconsigliato. Il mercato stava andando in una direzione (o, almeno, così sembrava) e scuole e case editrici seguivano il flusso.


I primi studi per Legs (1993)

Nonostante tutte le pressioni subite a scuola e la generale disapprovazione, Teresa riuscì a sviluppare un proprio stile mantenendo caparbiamente elementi derivati dai manga, soprattutto per quello che riguardava le caratterizzazioni dei personaggi.
Fu quindi con il suo stile che illustrò le storie su Fumo di China, con cui venticinque anni fa esordimmo entrambi nel mondo del fumetto, e quelle per l'Intrepido, dove la nuova gestione arruolò quasi in toto gli autori pubblicati sui primi numeri di FdC.

Quando però le giunse la proposta di realizzare le prove per Nathan Never, Antonio Serra, pur apprezzando i suoi disegni e ritenendola idonea per il primo numero della nuova testata dedicata a Legs Weaver, si trovò costretto a chiederle di essere un po' più realistica e, a tale scopo, la fece inoltre inchiostrare da Gianmauro Cozzi. La Bonelli, infatti, richiedeva uno stile più tradizionale e per quanto in testate come Nathan Never, Legs, Zona X (e, in seguito, anche Jonathan Steele) venisse concessa una libertà maggiore di "sperimentazione", comunque non si potevano superare certi limiti.

Il risultato di quella collaborazione fu sicuramente il più orientaleggiante mai visto fino a quel momento in Bonelli, ma comunque un'occidentalizzazione di quello che era lo stile di Teresa. Che, fra l'altro, in quel momento era una delle poche disegnatrici della Bonelli (praticamente, oltre a lei, si potevano contare solo Lina Buffolente, Lucia Arduini, Laura Zuccheri e Luana Paesani): fu proprio Legs ad aprire le porte di via Buonarroti a uno stuolo di ragazze di talento.


Tavola dal numero 1 di Legs (1995).

Un ulteriore passo in avanti fu possibile quando Teresa cominciò a disegnare per Jonathan Steele, serie di cui era anche la creatrice grafica. Sebbene si trattasse ancora di una testata bonelliana, nel frattempo, e proprio grazie a Legs e alle sue disegnatrici, i paletti si erano leggermente allargati rispetto a quattro anni prima e Teresa ebbe la possibilità di utilizzare uno stile decisamente più vicino al suo. Intanto l'invasione di manga nel nostro paese era iniziata e anche il mondo del fumetto italiano stava cambiando, così le (ormai numerose) scuole di fumetto si stavano arrendendo all'orda di aspiranti disegnatori e disegnatrici che pretendevano, giustamente, di esprimersi con stili a loro consoni.
Così, seguendo il detto “se non puoi batterli, unisciti a loro”, nelle scuole iniziarono i primi corsi di manga.

Tavola da Jonathan Steele n. 54, con le chine di Jacopo Brandi (2003).

Tutto è avvenuto abbastanza velocemente, alla fine, tuttavia oggi è difficile pensare a quante difficoltà si potessero incontrare all'epoca se si voleva disegnare con uno stile giapponese: manga e cartoni animati nippi hanno ormai influenzato migliaia di artisti in tutto il mondo e persino in Bonelli è possibile ammirare opere straordinarie come l'Agenzia Alfa di Massimo Dall'Oglio. Fortunatamente!

Illustrazione di Agenzia Incantesimi del 2016.











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